(CAVALIERI MARVEL)

 

N° 86

 

 

TEAM ASIA

 

Di Carlo Monni

 

 

1.

 

 

            Paladin sorride soddisfatto. Li ha trovati, pensa: i Campioni, il supergruppo che Alexander Thran aveva messo insieme per difendere la sua creatura prediletta, lo Stato africano dello Zilnawa. Paladin lascia scorrere lo sguardo sui contenitori a tenuta stagna che imprigionano, mantenendoli in animazione sospesa, i sei uomini e la donna davanti a lui: Capitan Ultra, superpotente come pochi ma con una debolezza fatale, anche la più lieve fiammella è sufficiente a stenderlo più velocemente di quanto la kryptonite faccia con Superman; Equinox, alias Terry Sorenson, un ex supercriminale di colore capace di generare fuoco e ghiaccio dal suo corpo; Psyclone, noto anche come Schizoid Man, ovvero David Martin, figlio unico di un Senatore dello Stato di New York, dotato di poter psichici e matto come un cavallo, anche se pare sia stato curato; Sundown, ovvero David Lowell, uno scienziato che aveva inventato un procedimento per assorbire energia solare, altro ex supercriminale; Spirale, una donna misteriosa con ben sei braccia su cui Thran non ha potuto o, più presumibilmente, voluto fornire dettagli. Ed infine i due soli membri non americani: Hrimrari, una sorta di licantropo che asserisce di provenire da Asgard, la leggendaria patria del mitico Thor, e Robert Takiguchi, giovane Giapponese esperto pilota di robot giganti che sembrano usciti da un cartone animato del suo paese.

            Come ha fatto Akua Kirabo a prenderli prigionieri? Chi le ha fornito la tecnologia per tenerli imprigionati? A quest’ultimo interrogativo Paladin pensa di avere la risposta ma dovrà lasciare le domande a più tardi. Ora deve trovare il modo di liberare i Campioni e poi il Palazzo Presidenziale conoscerà un tipo di festa ben diversa da quella attualmente in corso ai piani superiori.

 

            Il jet supersonico vola attraverso l’oceano diretto ad oriente. A bordo sei individui particolari vestiti perlopiù di costumi colorati. Il capo missione ha la pelle di metallo dorato ed indossa solo un paio di pantaloncini e stivali dello stesso colore. Si chiama Mark Raxton ma qualcuno lo conosce meglio col nome di Molten e non è la prima volta che si chiede perché ha accettato di guidare questa squadra di mercenari invece di godersi la vita. La risposta è facile: gli mancava l’azione, quella particolare adrenalina che viene quando si deve affrontare un pericolo e scommette che anche gli altri la pensano allo stesso modo.

            Nella cabina di pilotaggio sono seduti un uomo che indossa un costume violetto e marrone con una maschera che gli copre la metà superiore del volto ed una donna dai capelli neri e scarmigliati che indossa un paio di jeans, un corpetto nero con sopra un gilet dello stesso colore. Sull’occhio destro una vistosa benda nera.        È lei a rompere il silenzio:

-Ti chiami Daken, giusto? Hai qualche legame con Wolverine?-

-Cosa te lo fa pensare?- ribatte l’altro.

-Ti ho visto estrarre due artigli dai polsi e anche il tuo costume sembra modellato sul suo.-

-E anche se fosse, che t’importa?-

-Nulla, era solo curiosità. Ho conosciuto Wolverine e tu me lo ricordi, tutto qui.-

-Hai conosciuto Wolverine?- nella voce dell’uomo c’è un’evidente sfumatura d’interesse -Sei sua amica?-

            La donna scoppia a ridere e risponde:

-Amica? Non proprio. Anni fa avrei voluto ucciderlo poi ho imparato a rispettarlo se non ad apprezzarlo.-

            Daken si sfila il cappuccio rivelando il volto di un ragazzo dell’apparente età di poco più di vent’anni dai lineamenti orientaleggianti e i capelli tagliati alla moicana. Con voce dura dice:

-È mio padre.-

            La donna sembra sinceramente sorpresa.

-Sul serio?- esclama -Il mondo è davvero piccolo. In fondo avrei dovuto aspettarmelo che quel vagabondo potesse avere dei figli.-

-Anch’io volevo ucciderlo.- afferma Daken -Mi avevano convinto che fosse stato lui ad assassinare mia madre ma era una menzogna. Un giorno troverò il vero responsabile, se è ancora vivo, e lo farò a pezzi.-

-Sì, sei davvero suo figlio. La tua è una triste storia ma ognuno ha la sua. Anche le due cinesine la fuori: Delilah e Black Lotus, anche se si danno l’aria delle dure, ci scommetto. Quanto a me, credo si veda che non ho avuto una vita facile. A proposito, io mi chiamo Callisto, una volta ero la leader dei Morlock.-

-Ne ho sentito parlare: un gruppo di reietti mutanti che vivevano nelle fogne di New York. Furono quasi tutti sterminati. I pochi sopravvissuti si sono uniti agli X-Men, a Magneto o si sono dispersi.-

-Ne sai parecchio direi.-

-Nel mio lavoro essere informati è spesso vitale.-

-Il tuo lavoro? Ora, ti, prego: non dirmi che sei il migliore in quel che fai ma quel che fai non è piacevole.-

-Era una battuta? Comunque hai ragione: ero… sono uno dei migliori assassini della Yakuza.[1] Credo che sia per questo che mi hanno scelto per questa missione.-
-La missione, già.- borbotta Callisto -Quale che sia, ho la sensazione che ci abbiano scelto perché siamo tutti sacrificabili. Se non torneremo, chi sentirà la nostra mancanza?-

            Il figlio di Wolverine non risponde.

 

            Colleen Wing riemerge lentamente dal buio in un mondo immerso nella nebbia. Le immagini davanti a lei sono sfocate, indistinte, sente voci che sembrano lontanissime e le sembra di galleggiare.

-Colleen.-

-Colleen.-

-Colleen.-

            Quella voce… lei la conosce… di chi è? Un nome le sale a fatica alle labbra:

-Danny?-

-Si, Colleen, sono io.-

            La nebbia comincia a diradarsi e lei distingue finalmente un volto familiare: quello di un giovanotto biondo dall’aria preoccupata. Accanto a lui un altro uomo, anche lui biondo, un po’ più anziano che indossa un camice bianco e che le si rivolge con tono tranquillo:

-Miss Wing, sono il Dottor Keith Kincaid. Sa dove si trova?-

-Io… sono in ospedale, vero?-

-Cosa ricorda di quello che le è accaduto?-

-Mi ha aggredito!- esclama Colleen -Mi ha preso alla schiena e… le gambe, non sento le gambe!-

            Il Dottor Kincaid distoglie per un attimo lo sguardo per incrociare quello di un’infermiera dai capelli corvini china ai piedi del letto che scuote la testa con aria cupa.

            Kincaid torna a rivolgersi a Colleen:

-Non le mentirò, Miss Wing, lei ha una seria lesione alla spina dorsale. Potrebbe rimanere paralizzata per sempre.-

            Colleen vorrebbe urlare ma dalla gola le esce solo un gemito.

 

 

2.

 

 

            Sudario esce da un portale di Forza Oscura portando con sé Christine Hines. Poliziotti, vice sceriffi e agenti della CHP[2], sconcertati, gli puntano contro le loro armi. Il nervosismo serpeggia poi si ode una voce stentorea:

-Fermi!-

            Un uomo corpulento dai capelli bianchi avanza e tutti lo riconoscono. Robert O’Hara è il Presidente della Commissione di Polizia, l’organismo che supervisiona le attività del Dipartimento di Polizia di San Francisco. Arruolatosi giovanissimo ha scalato tutti i ranghi fino a diventare capo del Dipartimento guadagnandosi l‘indicativo nomignolo di Ironguts.[3] Quasi tutti i presenti lo conoscono e molti lo ammirano e lo ricordano con affetto. È fiancheggiato da altri due uomini. Quello a destra indossa la classica divisa blu scuro della Polizia. Le stelle sulle spalline della giacca lo identificano come il Capo della Polizia James Scanlon. Quello a sinistra è in divisa kaki con una stella sul petto, lo Sceriffo della Contea di San Francisco George Hines, padre della ragazza che Sudario ha appena liberato dalle grinfie di una setta di fanatici assassini.

            Christine corre tra le braccia del padre che rivolge a Sudario uno sguardo di gratitudine che il controverso vigilante mascherato non può apprezzare perché è cieco anche se dotato di speciali sensi mistici che rimpiazzano efficacemente la vista.

-Grazie.- mormora Hines.

-Ho fatto solo quel che dovevo.- replica Sudario -E non ho ancora finito.-

            Si avvolge in un cono d’ombra e scompare di nuovo. C’è un attimo di silenzio poi Hines si rivolge ai suoi uomini:

-Volete lasciar fare tutto a lui? Andate là dentro e portatemi quei bastardi.-

            Le squadre SWAT[4] del Dipartimento dello Sceriffo scattano seguite immediatamente da quelle della Polizia e della CHP.

 

            L’isola-Stato di Madripoor si trova nell’Oceano Indiano. Un tempo era un covo di pirati e qualcuno direbbe che lo è ancora. C’è una sola grande città che domina una vasta baia ed alle sue spalle si estende una jungla in gran parte inesplorata, dimora di una fauna variegata non sempre a quattro zampe.

            La capitale di Madripoor è sostanzialmente divisa in due parti ben distinte: la Città Alta in cui svettano grattacieli modernissimi, torridi acciaio e cemento che sembrano voler sfidare il cielo, sede di banche, società off shore, hotel di lusso ed ogni divertimento che il denaro può comprare. Qui la vita è un sogno dorato. La Città Bassa, d’altro canto, è ben diversa, fatta di case basse e vicoli stretti. Qui la vita umana ha poco valore e si possono trovare divertimenti a buon mercato. Esistono delle regole anche a Downtown, però, ed una di esse è che il Princess Bar è un porto franco, un’isola nella tempesta. I conflitti restano fuori dal Princess Bar e chi lo ha dimenticato ha finito per ricordarselo nel modo più duro e non ha più ripetuto l’errore.

            Entrando nel locale si ha la sensazione di essere stati catapultati indietro nel tempo. L’atmosfera è quella di film degli anni 40 come “Casablanca”; “Macao” o “Gilda”. Il gestore, O’Donnell, non somiglia a Humphrey Bogart, Robert Mitchum o Glenn Ford, anche perché è biondo, ma l’idea che dà è quella mentre, appoggiato al bancone, con indosso un impeccabile smoking con giacca bianca, controlla con discrezione la clientela: un uomo dal passato oscuro e misterioso da cui è scappato da tanto tempo. Inutile dire che è un tipo di fascino che fa colpo sulla clientela femminile e O’Donnell non è così virtuoso da non approfittarne quando capita l’occasione. Si dice che anche la Principessa Regnante sia di tanto in tanto ospite del suo letto ma lui è troppo gentiluomo per parlarne.

            La clientela del Princess Bar è varia ma una buona fetta è composta da turisti in cerca di emozioni forti ed a prima vista quelli che sono appena entrati sembrano appartenere a questa categoria, ma non per l’occhio attento di O’Donnell.

            Il giovanotto al centro indossa uno smoking nero. Dai lineamenti si direbbe per metà europeo e per metà asiatico, un tratto che sembra condividere con la donna alla sua sinistra che indossa un abito da sera rosso. Quella alla sua destra, invece, è indiscutibilmente Cinese e veste di nero. O’Donnell le ha riconosciute entrambe: Delilah e Black Lotus assassine a pagamento, sulla lista nera di molte polizie e agenzie di intelligence ma questo non è affatto insolito: a Madripoor la parola “estradizione” non compare in nessun dizionario.

            Conosce anche l’uomo alle loro spalle. Alto, fisico di chi è abituato a tenersi sempre in forma. Potrebbe essere sulla cinquantina. I baffoni esagerati e il pizzetto consentono di identificarlo con quasi assoluta certezza, anche se non indossa il suo abituale costume: Georges Batroc, meglio noto come Batroc il Saltatore, campione di quella che chiamano Savate e mercenario rinomato. L’altra donna, capelli neri e corti, benda nera sull’occhio destro, giacca e pantaloni scuri non la conosce ma ha tutta l’aria di essere una vera dura.

            O’Donnell torna a concentrarsi sul ragazzo, sembra avere poco più di vent’anni, che sfoggia un discutibile taglio di capelli alla Moicana. C’è qualcosa in lui di animalesco, qualcosa che lo induce a classificarlo come pericoloso, un vero predatore. In più ha qualcosa di stranamente familiare. È lui quello da tenere d’occhio.

-Benvenuti al Princess Bar, signori e signore.- dice loro affabilmente -Posso esservi utile?-

-Immagino proprio di sì.- risponde il giovane -Vorremmo un tavolo, possibilmente appartato.-

-Nessun problema. Vi ci accompagno io.- in tono apparentemente casuale O’Donnell aggiunge -Conosco il suo amico e le sue amiche, specie Miss Delilah.-

-Vorrei davvero sperare che tu non mi abbia dimenticato, O’Donnell.- risponde col suo particolare tono flautato la donna -Dopotutto io conservo un bel ricordo del periodo in cui ho cantato qui.-

-Il tizio a cui hai tagliato la gola dopo la tua ultima esibizione non direbbe la stessa cosa… se fosse ancora vivo, intendo.-

            Delilah ride divertita e replica:

-Quello era lavoro, il mio altro lavoro intendo e ho aspettato di essere fuori dal locale. Tutto secondo le regole.-

            O’Donnell abbozza un sorriso e si rivolge ancora al giovane:

-Come dicevo… è la prima volta che la vedo nel mio locale, Mister…-

-Mi chiami pure Akihiro.- replica il giovane sedendosi.

-Nome giapponese direi.-

-Mia madre era Giapponese, mio padre, invece, è Canadese.-

            Se O’Donnell nota l’uso di due tempi verbali differenti, non lo dà a vedere, invece commenta:

-Davvero?- anche uno dei proprietari di questo posto è Canadese.-

Il giovanotto fa un sorriso divertito e ribatte:

-Sul serio? Interessante coincidenza, non trova, Mr. O’Donnell?-

 

            Nakia deve ammetterlo: potrà sembrare, e magari anche essere, fatua, vanesia ed egoista, ma la Principessa Zanda di Narobia sa battersi. Nonostante il suo addestramento di Dora Milaje[5], non è ancora riuscita a trovare un varco nella sua difesa

            Gli ospiti del ricevimento si fermano a guardare lo strano spettacolo delle due donne, una in abito da sera e l’altra fasciata da una tutina così aderente da sembrare dipinta addosso.

-Che sta succedendo?- chiede la Presidentessa del Dabar Akua Kirabo.

-Sembra che la Principessa Zanda abbia trovato una compagna di giochi molto vivace.- ironizza il mercante d’armi Moses Magnum.-

-Eppure c’è qualcosa che non quadra.- borbotta Joshua N’Dingi, noto anche come Dottor Crocodile -C’è qualcosa di familiare in quella ragazza con cui si sta battendo Zanda. Qualcuno sa chi è?-

-Accompagnava non so chi, un bianco mi pare.- risponde Akua Kirabo.

            Crocodile estrae una specie di smartphone e lo punta sulle due contendenti poi dice:

-Ho appena inviato la sua immagine ai miei database. Se è in uno di essi lo sapremo… adesso.-

            Un rapido sguardo allo schermo poi N’Dingi se ne esce con un sonoro:

-Maledizione!-

-Che c’è?- chiede Moses Magnum, improvvisamente meno interessato allo scontro tra le due donne -Hai scoperto chi è?-

-È una Wakandana. Si chiama Nakia. Meglio nota negli ambienti mercenari come Malizia. Era una Dora Milaje ma ne è stata espulsa per aver tentato di uccidere la fidanzata di T’Challa. Per un po’ è stata alleata di Erik Killmonger per poi mettersi al servizio del miglior offerente. E specializzata in ogni forma di combattimento corpo a corpo, infiltrazione, sabotaggio, assassinio e altre operazioni clandestine.-

-In altre parole, è una spia.- conclude Magnum.

-Ma di chi?- chiede Akua Kirabo.

-Sarà lei stessa a dircelo quando sarà nelle nostre mani.- replica Crocodile avanzando deciso verso le due donne.

 

 

3.

 

 

            Colleen Wing guarda il soffitto della sua stanza allo Stark Memorial Hospital. Non le resta molto altro da fare, del resto, ora che le hanno confermato che la sua spina dorsale è irrimediabilmente danneggiata. Tutta colpa di quel bastardo di Davos. Le lacrime scorrono lungo le sue guance senza che lei possa fermarle.

            Improvvisamente sente una finestra aprirsi e vede una figura vestita di verde entrare silenziosa.

-Danny?- mormora.

-Sì, sono io.- risponde Danny Rand nelle sue vesti di Iron Fist -Mi dispiace di non essere tornato prima ed anche per il modo in cui sono entrato, di soppiatto, come un ladro.-

-Non scusarti. Ti capisco: non potevi far sfoggio dei tuoi poteri davanti a tutti o la tua identità segreta sarebbe andata a farsi benedire.-

-Non che valga molto visto quanti miei nemici la conoscono già.-

-Ma se la rendessi pubblica, non avresti più un momento di privacy, quindi non scusarti e fa quello che sei venuto a fare.-

-Quindi hai capito cosa voglio fare? Allora devo avvertirti: è la prima volta che provo ad usare il potere del Pugno d’Acciaio per curare qualcun altro invece di me stesso come mi ha insegnato Orson Randall.[6] Non so se avrò successo.-

-Peggio di com’è ora non potrà essere. Vai!-

            Iron Fist toglie le coperte e pone sul ventre della ragazza le sue mani che cominciano a brillare mentre lui attinge al potere che gli scorre dentro. La luce avvolge Colleen che presto comincia a sentire una sensazione di calore in tutto il corpo ed un formicolio che dalla spina dorsale si diffonde a braccia e gambe.

            Pian piano la luminosità svanisce ma Colleen sa che ha funzionato: la sensibilità agli arti è tornata. Danny ce l’ha fatta.

            Volge la testa verso di lui e lo vede accasciarsi sul letto.

-Danny!- esclama preoccupata.

-Sto bene.- la rassicura lui -Sono solo un po’ esausto.-

-Devi riposarti. Hai preteso troppo da te stesso.-

-Ma ha funzionato, no? È questo quello che conta.- replica Danny sorridendo a fatica.

-Vuoi sdraiarti un po’?-

-La sedia andrà bene.-

            Iron Fist si lascia cadere su una vicina poltroncina. Per qualche attimo né lui né Colleen parlano poi la ragazza dice:

-Grazie Danny.-

-Non potevo fare di meno per la mia più vecchia e cara amica.- si schermisce lui.

-Giusto, è quello che sono.-

            Danny Rand si rialza in piedi.

-È ora che vada.- afferma.

-Che farai adesso?- gli chiede Colleen.

-Lo sai: darò la caccia al Serpente d’Acciaio e la faremo finita una volta per tutte.-

 

            A San Francisco il Ragno Rosso si rivolge alla donna con un costume simile al suo appena arrivata al suo fianco:

-Giusto in tempo per essere la regina della festa.-

-Ho sempre trovato strana questa tua attitudine a scherzare in ogni circostanza.- ribatte la Donna Ragno.

-Di tempo per piangersi addosso ce n’è anche troppo. Ma lasciamo perdere la psicologia d’accatto, pensiamo ai nostri gemellini troppo cresciuti. A te quello di sinistra e a me quello di destra, ok?-

            Senza aspettare risposta il Ragno Rosso balza verso il suo avversario e lo colpisce con un diretto al mento.

-Vediamo se hai la mascella di vetro.- dice.

Il gigantesco Indiano barcolla ma non cade.

-Ti ci vuole un altro po’ d’incoraggiamento, vedo.-

            Continuando a saltare intorno al thug superpotenziato Ben Reilly lo colpisce ripetutamente usando anche le sue tele d’impatto senza dargli tregua mentre l’altro non riesce a mettere a segno un colpo.

            Alla fine mostra segno di essere allo stremo delle forze.

-Su, amico, è ora di farsi una bella dormita.- gli dice il Ragno Rosso.

            Gli sferra un ultimo pugno e quando lo vede barcollare urla:

-Timbeeeer!-

 

            Londra, capitale di un regno che potrebbe presto non essere più tanto unito. Sir William Alexander Peregrine Boyd-Overton appartiene ad un’antica famiglia e lavora come analista finanziario nella prestigiosa City. È molto rispettato e pochi tra quelli che lo conoscono immaginano che abbia una doppia vita

            In questo momento si trova in un appartamento di Chelsea intestato ad una società off shore e quando apre la porta già pregusta cosa sta per accadere.

            Davanti a lui una ragazza appena adolescente, bionda, viso di porcellana, fisico da urlo appena contenuto da un abitino scandalosamente stretto e corto.

-Ciao.- gli dice -Io sono Bella, tu sei Wills?-

-Sì sono io.- risponde.

-Sono come mi aspettavi?-

-Sei anche meglio. Vieni.-

            La conduce in camera da letto e comincia a spogliarsi. La ragazza fruga nella sua borsetta.

-Non hai bisogno di protezione, tesoro.- le dice lui -Ho già provveduto io.-

-Dubito tu sia protetto da questo.- replica la ragazza.

Si volta di scatto e fa un rapido movimento col polso.

            Sir William si porta le mani alla gola e sente scorrere il sangue. Ma come…?

-Si chiama shuriken.- spiega lei estraendo da quella stessa gola un piccolo oggetto metallico -Un’efficace strumento di morte inventato dai ninja giapponesi.-

            Gli dà una piccola spinta e l’uomo cade sul letto mentre annega nel suo stesso sangue. È già morto quando la sua testa tocca il lenzuolo.

            La ragazza ripone con calma lo shuriken nella borsetta e ne estrae qualcosa che lascia cadere sul cadavere: un cartoncino raffigurante un cigno nero.

 

 

4.

 

 

            Jessica Drew preferirebbe sicuramente essere da un’altra parte, magari assieme a Lindsay McCabe, piuttosto che dover affrontare un fanatico thug della stazza di un piccolo armadio ma il destino non le ha lasciato scelta.

            Avere i superpoteri che si ritrova può non essere stata una sua scelta, ma usarli nei panni della Donna Ragno per il bene comune e per proteggere gli innocenti quella sì e non può sottrarsi al dovere che si è imposta.

            Attende fino all’ultimo istante utile poi rilascia da entrambe le mani contro l’Indiano una scarica alla massima intensità di energia bioelettrica.

            Il suo avversario barcolla e lei scarta di lato sollevandosi contemporaneamente da terra per poi colpirlo con un pugno a mani unite.

            Il gigantesco Indiano piomba finalmente al suolo privo di sensi.

-Alla fine non eri poi così duro.- commenta la Donna Ragno massaggiandosi le nocche.

            Proprio in quel momento entrano le forze dell’ordine con le armi spianate.

-Troppo tardi.- sussurra Jessica -È già tutto finito.-

 

            C’era un tempo in cui avventurarsi di notte per Central Park sarebbe stato considerato molto pericoloso. Quel tempo non è passato del tutto ma oggi ci sono molti luoghi del parco che si possono ritenere sicuri per il visitatore notturno e questo spiazzo nei pressi del laghetto è uno di essi.

            Per l’uomo chiamato Iron Fist la bellezza del luogo non ha alcuna importanza, altri pensieri occupano in questo momento la sua mente.

-E così sei venuto, proprio come speravo.-

            Danny Rand si volta. Davanti a lui sta un uomo che indossa un costume simile al suo. Il suo nome è Davos ma preferisce farsi chiamare Serpente d’Acciaio.

-Hai assalito la mia donna, i miei amici, li hai quasi uccisi. Perché? Sono io il tuo nemico, era me che dovevi cercare, solo me!- gli urla.

            Il Serpente d’Acciaio sogghigna divertito e replica:

-Prima dovevi covare lo stesso odio, rabbia e frustrazione che ho provato io in tutti questi anni. Essere pronto ad uccidermi.-

-Tu sei pazzo.-

-Questo sarà il nostro ultimo scontro. Avrei preferito affrontare anche tua sorella Miranda ma lo farò dopo e tu non potrai aiutarla perché sarai già morto .-

            Lanciando un grido di battaglia Iron Fist si scaglia contro il suo avversario.

 

            Questo luogo ufficialmente non esiste, è un campo di detenzione che l’F.S.B.[7] ovvero il servizio di sicurezza interna della Federazione Russa, usa per prigionieri che nemmeno loro ufficialmente esistono.

            Dopo questa giornata forse non esisterà per davvero perché i prigionieri ne hanno preso il controllo.

-Non la passerete liscia.- ribadisce un furioso Mikhail Andreievitch Rostov, meglio noto come Krassny Varvar in Russo o Red Barbarian in Inglese, uno dei due direttori di questo posto.

-Non so chi mi trattenga dall’ucciderti qui e adesso.- afferma con livore l’uomo dal volto sfregiato che si fa chiamare Vindiktor.

-Sarebbe una mossa stupida. Interviene Lyudmilla Antonova Kudrina, l’altro direttore -Un omicidio che vi scatenerebbe contro tutte le forze di sicurezza della Rodina.-[8]

-E come farebbero a sapere chi cercare?- ribatte la bruna Ninotchka -Non esistono registrazioni di questo posto, giusto? Noi non esistiamo, nemmeno tu esisti. Chi saprebbe che sei morta?-

-Non oserai!-

-Mettimi alla prova.-

            Improvvisamente l’uomo di nome Andrei Mikhailovitch Rostov si stacca da una finestra e dice:

-Rumore di un aereo. Sta arrivando qualcuno.-

 

 

5.

 

 

            Capita più spesso di quanto si creda che la Principessa Regnante di Madripoor venga a Downtown e per la precisione nel Princess Bar, dopotutto ne è una dei proprietari assieme ad un certo mutante artigliato canadese. Senza contare il fatto che prima di conquistare il Trono Jessan Hoan era, con il nome di Tyger Tiger, uno dei principali boss del crimine della Città Stato e, per quanto possa sembrare paradossale, c’è chi sostiene che lo sia ancora, che una percentuale di ogni profitto illegale della nazione finisca comunque nelle sue tasche, non che lo si dica spesso in sua presenza.

            Accompagnata dal Capo della Polizia Tai, entra nel locale e dopo essersi guardata intorno si ferma a scambiare qualche parola col gestore, poi punta dritta verso un certo tavolo seguita quasi subito da O’Donnell.

-Abbiamo visite.- annuncia Callisto.

-E importanti anche.- precisa Delilah.

            La Principessa si ferma davanti a loro. Akihiro la osserva: indossa un cheongsam, l’abito tradizionale femminile cinese, dorato con i tradizionali spacchi laterali sino alle cosce e con una meno tradizionale scollatura frontale.

-Sapete chi sono.- un’affermazione, non una domanda.

-E chi non conosce la grande e potente Tyger Tiger?- ribatte Delilah in tono ironico -O mi confondo con Jessan Hoan, la magnifica Principessa di questa bella nazione?-

            Jessan la ignora e si rivolge ad Akihiro:

-Mi è stato detto che queste signore sono con lei, Mr…-

-Mi chiami Akihiro.- è la risposta.

-Akihiro e poi?- interviene il Capo Tai -Nessun cognome?-

            Lui lo squadra come se stesse riflettendo su qualcosa, poi replica:

-Il cognome del mio vero padre preferisco non usarlo e quello di mia madre non disonorarlo.-

-Perché si accompagna a due note assassine a pagamento e ad altri due mercenari di dubbia reputazione?- insiste Tai.

            Black Lotus rimane impassibile, Callisto fa una smorfia e Batroc accenna ad un sorriso. Akihiro si rivolge di nuovo alla principessa:

Posso dire che siamo colleghi, facciamo parte della stessa squadra.

-Anche lei è un assassinio, Mr Akihiro?- ribatte lei senza troppi giri di parole.

-Immagino dipenda dai punti di vista. Alcuni dei miei committenti preferiscono definirmi risolutore.-

-Sono molto ben informata sui mercenari internazionali e non l’ho mai sentita nominare.-

-Perché uso un altro nome e…-

            Si arresta come se sentisse qualcosa che nessun altro può udire. Black Lotus si china su di lui e gli sussurra:

-Daken…-

-Lo so.- ribatte Akihiro.

            Improvvisamente balza sul tavolo e dà una spinta alla Principessa gettandola a terra un attimo prima che dall’ingresso del locale irrompano uomini armati che sparano all’impazzata. Akihiro viene centrato da una scarica di proiettili e piomba giù dal tavolo mentre i suoi compagni si scostano prontamente.

            Pochi secondi dopo si rialza , le ferite si stanno richiudendo, sul suo viso una strana espressione: collera e… soddisfazione?

-Mi avete rovinato un vestito molto costoso.- afferma.

            Un attimo dopo si sente un rumore secco mentre dai suoi polsi escono due affiliati artigli e lui balza contro i suoi nemici.

            Mentre accanto a lui i suoi amici si occupano degli altri avversari, lui affonda gli artigli senza pietà in quelli davanti a lui. Il sangue schizza sulla sua faccia e sui suoi abiti e lui ride. Infine si placa e tutto intorno a lui giacciono i cadaveri dei suoi nemici.

            Jessan si è rimessa in piedi e non sembra particolarmente scossa da quel che è appena successo. Si avvicina a Daken e gli dice:

-Credo di aver capito chi è tuo padre.-

            Lui rinfodera gli artigli e con un sogghigno replica:

-Ed io credo che tu abbia indovinato.-

            Tai osserva i criminali a terra e conclude:

-Feccia di Downtown, ma chi volevano uccidere? Loro o…-

-Me?- esclama Tyger -C’è un solo uomo abbastanza audace da tentare di assassinarmi violando la tregua del Princess Bar: il mio principale rivale, il Generale Coy.-

 

            Paladin osserva il quadro comandi davanti sé. Non è ben sicuro di cosa fare ma sa che ha poco tempo per decidere. La sua intrusione può essere scoperta da un momento all’altro.

            Pochi secondi per sperare di aver interpretato bene i comandi ed augurarsi di aver preso la decisione giusta.

            Preme una sequenza di pulsanti ed attende. Per qualche secondo non accade nulla poi le capsule cominciano ad aprirsi.

 

            A Central Park volano scintille. I due avversari praticamente si equivalgono. Uno è forse dotato di maggior potere ma l’altro è un combattente più anziano ed esperto.

            Iron Fist colpisce ripetutamente ma il Serpente d’Acciaio para ogni sua mossa e lo stesso accade a lui.

-Chi si stancherà per primo tra noi due, Danny?- chiede Davos al suo avversario irridendolo.

            Per tutta risposta Daniel Rand balza su di lui sferrandogli un calcio della tigre che l’altro para facilmente

-Tuo padre era un avversario più duro.- continua a stuzzicarlo.

-E alla fine ti ha battuto come ho sempre fatto anch’io.- ribatte Iron Fist.-

            Di nuovo lo scontro riprende e con esso la coreografia di mosse di arti marziali. Improvvisamente, il Serpente d’Acciaio trova un varco nella difesa del suo avversario e ne approfitta per colpirlo, poi, mentre l’altro è stordito, lo afferra alla vita.

-Sei mio!- grida trionfante.

            I due sono avvolti da una luce sempre più brillante. Il potere del Pugno d’Acciaio è in azione. La luce diventa sempre più forte, accecante e sembra quasi fondere le due figure, poi cessa di colpo e solo uno dei due contendenti è rimasto in piedi.

 

 

CONTINUA

 

 

NOTE DELL’AUTORE

 

 

            Nulla di rilevante da dire su quest’episodio, vi rimando, quindi, al prossimo dove alcuni nodi verranno al pettine, altri si ingarbuglieranno e vecchi amici torneranno a farsi vivi.

 

 

Carlo



[1] La malavita  organizzata giapponese.

[2] California Highway Patrol.

[3] Liberamente traducibile come: Fegato di ferro.

[4] Special Weapons and Tactics.  le squadre speciali delle forze dell’ordine americane.

[5] Le Dora Milaje sono un corpo d’èlite del Wakanda, al tempo stesso guerriere, guardie del corpo e concubine del sovrano.

[6] Il predecessore di Danny nel ruolo di Iron Fist.

[7] Federal'naya Sluzhba Bezopasnosti, Servizio di Sicurezza Federale.

[8] Patria in Russo.